La Pennelli Cinghiale ha inaugurato lo scorso 4 maggio, il suo Museo d’impresa, presentandolo alla stampa e ad un pubblico molto selezionato, fra cui anche noi del team di Yourboost.

Sì hai capito bene, la Pennelli Cinghiale è la storica azienda del famoso slogan, ormai entrato nel linguaggio comune, citato da attori, comici e personaggi televisivi, utilizzato anche per spiegare una figura retorica dallo strano nome, la “diafora”, perchè all’interno della stessa frase si ripete la parola “pennello”, ma con significato diverso ed enfatizzato:

Non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello

Uno slogan come fil rouge del Museo d’Impresa

Sono trascorsi esattamente 40 anni da quel giorno del 1982, quando Ignazio Colnaghi, attore di teatro e radiofonico, doppiatore di famosi protagonisti di pubblicità come il Calimero della Mira Lanza, era stato chiamato dal fondatore della Pennelli Cinghiale, il Commendator Alfredo Boldrini, per ideare lo scambio di battute e la scena.

In fabbrica all’improvviso gridò: “Ci siamo!”

Eureka! Ho trovato! Come disse l’antico inventore Archimede.

Colnaghi infatti aveva finalmente trovato la scena e lo slogan giusto per lo spot pubblicitario o per meglio dire la réclame, come si chiamava ancora all’epoca, che è entrata nella storia della comunicazione pubblicitaria.

Te la ricordi la pubblicità? Si vede l’imbianchino, l’attore milanese Piero Mazzarella, che gira in bicicletta nel traffico di Milano con un grande pennello sulle spalle e il “ghisa”, il vigile, interpretato da Francesco Papi, che lo ferma, innescando l’esilarante siparietto.

Quel grande pennello adesso si può vedere esposto nel Museo d’impresa della Pennelli Cinghiale, sorto all’interno della storica sede aziendale di Cicognara di Viadana (MN), insieme alle “pizze” originali ed a fotografie tratte delle pellicole dello spot, recuperate e restaurate dal laboratorio “L’immagine ritrovata” di Bologna.

Un “Museo del Tempo” fra arte e tradizione

Il “Museo del Tempo“, così è stato chiamato questo nuovo Museo d’Impresa nel panorama nazionale, è nato, come ci ha spiegato la Dott.ssa Eleonora Calavalle (CEO della Pennelli Cinghiale S.r.l.), nel periodo del lockdown da Covid-19, quando l’azienda ha potuto dedicare del tempo a questo progetto, riscoprendo una storia che risale ad oltre 75 anni fa, quando il Commendator Alfredo Boldrini, produttore di scope, aveva fondato con 6 dipendenti la fabbrica.

Dai loro magazzini e archivi sono emerse così varie tipologie di materiali e documenti, fra cui:

  • vecchi pennelli
  • schedari con schede di lavorazione
  • registri degli infortuni e libri paga
  • premi, attestati e riconoscimenti
  • cataloghi dei prodotti
  • lettere commerciali
  • fotografie
  • macchinari

Il Museo d’impresa: strumento di marketing

I documenti e gli oggetti scelti per l’esposizione del “Museo del Tempo” dell’azienda Pennelli Cinghiale non sono certo oggetti d’antiquariato, documenti rari o preziosi, ma come abbiamo spiegato più volte, sono tutti quegli oggetti e documenti funzionali a creare un Museo d’impresa, qualora siano esposti in base a criteri ben precisi, tematici o cronologici, corredati da apposite didascalie, che ne divulghino ai visitatori i contenuti.

Tutte queste tipologie di oggetti e documenti, anziché restare dimenticate nei magazzini o peggio rischiare di essere buttate in discarica, diventano in questo modo risorse culturali preziose, non tanto per il loro valore intrinseco, ma perché raccontano la storia di un’azienda, di un periodo e di una società.

Il pubblico al quale ci si rivolge oggi con i Musei d’impresa, non è più solo quello fisico e limitato a clienti e fornitori oppure a gruppi di appassionati o di studenti, ma con il digitale e i social media in particolare, portandoli online con dei Virtual Tour o meglio ancora creando online dei Musei d’Impresa virtuali, come il nostro “Museo d’impresa virtuale della decorazione di moda” si possono raggiungere milioni di persone, fra i quali potresti trovare anche i tuoi prospect (potenziali clienti).

Ecco perché il Museo d’impresa rappresenta, come abbiamo già detto più volte, una straordinaria risorsa per la strategia di marketing della tua azienda.

Un’esposizione d’arte contemporanea diventata Museo d’impresa

In questo nuovo Museo d’impresa del panorama nazionale, il criterio tematico e cronologico si sono incrociati e intrecciati, come le linee del tempo colorate, dipinte dall’artista internazionale Duty Gorn, che ha ideato e realizzato l’allestimento.

Le sue opere d’arte contemporanea si integrano e si mescolano armoniosamente con gli oggetti della quotidianità aziendale, facendoli assurgere a fulcro delle sue installazioni.

In questo suo allestimento/installazione infatti:

  • il soffitto di accesso all’azienda è diventato la tela, sulla quale tutti i vecchi pennelli nascono a nuova vita e si rigenerano;
  • un vecchio telefono è il filo diretto con il passato e dalla cornetta una voce ci guida nella visita all’esposizione;
  • piccoli macchinari ci ricordano che le lavorazioni del passato erano manuali e non tecnologiche come quelle nella fabbrica attuale;
  • una scala di legno da imbianchino è diventata il parapetto della scala, che ci introduce nella sala riunioni/sala espositiva principale.

I vecchi schedari, pieni ancora delle loro schede di produzione, i pennelli dalle forme più diverse e le “pizze” contenenti le pellicole degli spot, sono appoggiati sui supporti, privi di protezioni in vetro, ma le didascalie sono sufficienti a far capire, che siamo davanti a pezzi museali, da guardare e non toccare!

Questi oggetti di uso quotidiano aziendale sono tutti diventati opere d’arte, esposti come nelle mostre di arte contemporanea, parti integranti singolarmente e insieme dell’installazione artistica.

Passato e presente si fondono perché, come oggetti d’uso quotidiano, suscitano ricordi e invitano ancora ad essere toccati.

La tentazione è talmente forte che all’inaugurazione un’ex dipendente gira istintivamente qualche scheda e commenta:

Quante ne ho fatte di queste!

Il lavoro femminile e le donne protagoniste del Museo d’impresa della Pennelli Cinghiale

Uno degli aspetti che ci ha maggiormente colpito, in questo Museo d’impresa della Pennelli Cinghiale, è la valorizzazione del lavoro femminile e della donna.

Il tema è affrontato in modo molto misurato e come non ci si aspetterebbe in un’azienda dove il fondatore è stato un uomo: il Commendatore Alfredo Boldrini, che ha retto l’azienda dal 1945, quando è sorta, fino al 1998, quando gli è subentrata la figlia Catuscia.

Nel catalogo (supporto culturale non scontato per un Museo d’impresa, impostato graficamente come il catalogo di una mostra d’arte contemporanea e perfettamente coerente con l’esposizione) si vedono alcune vecchie foto delle “maestranze del 1956”, quasi tutte donne e si legge questa testimonianza di Luisa Passerini:

Quando c’era da fare un inventario correvamo a proporci, perché ci pagavano lo straordinario. Quanto abbiamo lavorato, legando a mano i ciuffi di setole per i pennelli. Ma ci piaceva, avevamo bisogno di lavorare.

Storie di donne d’altri tempi?

Storie dell’immediato dopo guerra, si dirà, che oggi non esistono più!

Ancora oggi invece, giovani donne nella fabbrica della Pennelli Cinghiale legano a mano quei ciuffi di setole per i pennelli.

La visita alla fabbrica ci ha infatti rivelato i macchinari innovativi per la produzione automatizzata, frutto dell’industria 4.0, accanto alle lavorazioni manuali e artigianali delle sapienti, piccole e delicate mani di donne, che, con gesti mirati e sempre uguali da decenni, compattano le setole delle pennellesse e, come in una sartoria, cuciono i tessuti per i rulli.

La scelta dell’artista Duty Gorn per l’allestimento/esposizione d’arte da parte dell’attuale board aziendale, tutto al femminile e costituito dalle nipoti di Boldrini, Eleonora e Clio Calavalle, e dalla loro mamma Catuscia, deve essere stata determinata anche dalla sua cifra stilistica, che è una donna.

Nella sua grande opera, esposta nella sala principale, un acrilico su tele scomposte dal titolo “Abstraction” (2014), si scorgono infatti i tratti somatici di alcune donne e da loro si dipartono le linee temporali colorate, che avvolgono non solo le pareti della stanza, ma abbracciano l’intera azienda, perché l’opera continua idealmente anche sulla facciata laterale della fabbrica.

Un “Museo del Tempo”, che sfida il tempo e si proietta nel futuro, e che auspichiamo possa essere visitato da tante persone e mostrato al mondo, sfruttando tutte le tecnologie digitali oggi a disposizione.

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